COVID-19 e riflessi sull’esecuzione dei rapporti contrattuali: tra autonomia negoziale, forza maggiore e buona fede contrattuale

La diffusione del virus COVID 19 ha reso necessaria l’adozione da parte dei Governi Nazionali di stringenti misure di prevenzione volte a fronteggiare l’emergenza sanitaria che in questi giorni li ha visti coinvolti.

Questa situazione incide in maniera rilevante sull’economia e sugli scambi in generale, sia interni che internazionali, rendendo estremamente gravoso, se non del tutto impossibile, eseguire correttamente le prestazioni oggetto dei rapporti contrattuali in corso d’esecuzione.

Le rilevanti limitazioni alla circolazione di merci e persone o la sospensione forzata dell’attività produttiva di numerose imprese sono fattori che frustrano la normale esecuzione delle obbligazioni ed impongono una serie di riflessioni concernenti le potenziali ripercussioni di tali fenomeni sui rapporti contrattuali in corso d’esecuzione.

Si pone, in particolare, il problema pratico-giuridico di stabilire se il carattere straordinario ed eccezionale di tali eventi possa, a determinate condizioni, esonerare da responsabilità i contraenti che, a causa di tali circostanze, non siano in grado di adempiere correttamente le prestazioni contrattualmente dovute.

Si tratta dunque di definire in base a quali regole e principi dovranno essere risolti i profili di criticità correlati alle situazioni causate dalla diffusione dell’epidemia.

Il quesito che ha principalmente interessato gli interpreti attiene alla riconducibilità o meno del fenomeno del COVID 19 nella nozione di Forza Maggiore”.

Questa soluzione è stata inizialmente adottata dal Governo cinese che, nel tentativo di porre rimedio alle conseguenze causate dalla diffusione del virus, ha rilasciato i c.d. “certificati di forza maggiore” che dovrebbero escludere la responsabilità dei vari operatori sia nei casi di ritardo nell’adempimento sia in quelli di integrale inadempimento, ove direttamente collegati alla diffusione dell’epidemia.

L’ordinamento giuridico italiano, con specifico riferimento alla disciplina dei contratti prevista dal Codice civile, non fornisce una definizione esplicita di forza maggiore, né tantomeno disciplina – in modo preciso e puntuale – gli effetti giuridici ad essa correlati.

In ragione di tale carenza normativa non è infrequente che, nella prassi, gli operatori commerciali prevedano, all’interno dei contratti, specifiche clausole c.d. di “forza maggiore”, espressamente finalizzate a regolare la responsabilità dei contraenti al verificarsi di eventi straordinari ed eccezionali che frustrano, alterandolo, il sinallagma negoziale.

Generalmente tali pattuizioni fanno riferimento ad eventi incontrollabili ed imprevedibili al momento della stipula dell’accordo quali, per l’appunto, epidemie virali o emergenze sanitarie.

Al ricorrere di tali accadimenti le parti stabiliscono l’esonero della responsabilità del contraente che dimostri come il mancato o ritardato adempimento sia dipeso dalle predette circostanze.

Se il verificarsi di eventi imprevedibili ed incontrollabili non sempre determina l’impossibilità assoluta delle prestazioni pattuite, spesso può renderne notevolmente gravoso l’adempimento.

Si pensi ad esempio a quelle situazioni in cui – come anche in questi giorni in Italia – per arginare la diffusione del virus, l’Autorità pubblica adotti provvedimenti che limitano la circolazione stradale o che interrompono collegamenti con alcune aree o zone, obbligando gli operatori commerciali a prestazioni più onerose, come ad esempio il ricorso al trasporto aereo o navale.

Per far fronte a tali situazioni, nei vari contratti, sono inserite le c.d. clausole di “Hardship” le quali attribuiscono al contraente eccessivamente gravato dalla sopravvenienza imprevista, la facoltà di rinegoziare i termini economici dell’accordo e ridefinire, dunque, le reciproche prestazioni alla luce delle nuove circostanze economico – fattuali risultanti dai predetti eventi, scongiurando che il pregiudizio oggettivo venga patito da una soltanto delle parti.

Ma cosa potrebbe accadere nell’ipotesi in cui regolamento contrattuale non prenda in considerazioni tali eventualità?

Ci si chiede in particolare se, in assenza di espressa pattuizione, l’ordinamento giuridico interno appresti efficaci strumenti di tutela per quei soggetti che, a causa di emergenze sanitarie o, in generale, di eventi straordinari, non siano più in grado di adempiere correttamente gli obblighi cui erano contrattualmente tenuti.

Come ricordato l’ordinamento giuridico nazionale non contempla espressamente la nozione di forza maggiore che tuttavia sembra poter essere desunta da un insieme di disposizioni che si occupano di regolare i profili di responsabilità contrattuale connessi ad eventi straordinari ed imprevedibili e sotto le quali la forza maggiore sembra pertanto sussumibile.

La nozione di forza maggiore può invero, per certi versi, essere assimilabile ai concetti di “eccessiva onerosità” ed “impossibilità sopravvenuta”, rispettivamente previsti dagli artt. 1467 c.c. e 1256 c.c.

La prima delle disposizioni richiamate prevede che – nei contratti a prestazioni continuata o periodica – ”se la prestazione di una delle parti è divenuta eccessivamente onerosa per il verificarsi di avvenimenti straordinari e imprevedibili, la parte che deve tale prestazione può domandare la risoluzione del contratto, con gli effetti stabiliti dall’articolo 1458”.

La norma analizza i rapporti tra i profili di responsabilità del contraente e peculiari situazioni che rendono particolarmente gravoso l’adempimento delle prestazioni cui il medesimo è tenuto.

Il verificarsi di eventi di tale portata esonera, dunque, il debitore dall’eseguire quelle prestazioni che siano divenute eccessivamente onerose sotto il profilo economico – patrimoniale, attribuendogli il potere di risolvere il contratto, fatto salvo il diritto dell’altro contraente di riportarlo ad equità.

Visti i presupposti individuati dalla norma, assume fondamentale importanza circoscrivere con precisione il concetto di “avvenimenti straordinari ed imprevedibili” al fine di verificare se i recenti accadimenti legati alla diffusione del COVID 19 siano in essi sussumibili, consentendo così di invocare la normativa sopracitata.

Secondo la prevalente impostazione i due termini non costituiscono un’endiadi, avendo un significato distinto o, comunque, solo parzialmente coincidente.

Il requisito della straordinarietà, secondo la costante giurisprudenza, riveste carattere obiettivo trattandosi di evento anomalo quantificabile sulla base di elementi oggettivi quali la frequenza, le dimensioni o l’intensità, suscettibili di misurazione e quindi, tali da consentire, attraverso analisi quantitative, classificazioni quanto meno di ordine statistico (cfr. ex multis Cass. Civ. 25/5/2007, n. 12235; Cass. Civ. 23/02/2001, n. 2661).

L’imprevedibilità assume invece una connotazione soggettiva in quanto riconducibile alla capacità di valutazione prognostica in ordine al possibile verificarsi di detti eventi straordinari al momento della conclusione del contratto. Tale accertamento deve essere condotto sulla base del parametro di un operatore economico medio, dotato delle medesime conoscenze e capacità del contraente coinvolto nella fattispecie concreta, avuto riguardo a previsioni dotate di certezza e specificità degli eventi (sul punto cfr. Cass. Civ. 19/10/2006, n. 22396).

Agli effetti della risoluzione in esame rileva dunque ogni avvenimento il cui rischio non possa ritenersi assunto nel contratto per la sua improbabilità, secondo la valutazione della situazione che può essere compiuta al momento della conclusione del contratto (cfr. Mirabelli, Dei contratti in generale, in Comm. cod. civ., IV, 2, 1980, 657).

Considerati tali presupposti, si deve dunque escludere che rientrino nel campo d’applicazione della norma quegli aggravi economici riconducibili alla normale alea del contratto, che dipendono cioè da ordinarie e prevedibili fluttuazioni del mercato.

Dovendo fare applicazione di tali principi generali ai fatti inerenti alla recente emergenza sanitaria causata dalla diffusione del c.d. COVID 19 si può dunque ritenere che tali fenomeni, stante la vasta scala di diffusione della patologia nonché le stringenti ed eccezionali misure di prevenzione adottate dai Governi per fronteggiare l’emergenza, assumano i connotati di straordinarietà ed imprevedibilità sanciti dall’art 1467 c.c. la cui applicazione può dunque essere invocata laddove, per effetto di tale situazione, risulti particolarmente oneroso eseguire le prestazioni contrattuali nei termini e con le modalità convenute.

Come ricordato anche l’art 1256 c.c. attribuisce rilevanza ad eventi straordinari ed imprevedibili sopravvenuti alla conclusione del contratto che ne condizionano la regolare esecuzione.

La norma prevede infatti l’estinzione dell’obbligazione ove questa diventi impossibile per causa sopravvenuta non imputabile al debitore.

Secondo autorevole Dottrina – a cui ha aderito la più recente Giurisprudenza – la sussistenza del requisito dell’impossibilità della prestazione deve essere valutata alla luce della clausola generale di buona fede (cfr. Torrente – Schlesinger, Manuale di diritto privato, 2014, pagg. 416 – 419).

L’impostazione tradizionale attribuiva rilevanza alla sola impossibilità “assoluta” ritenuta sussistente quando, nonostante ogni sforzo esigibile di neutralizzare l’evento che preclude di adempiere una determinata obbligazione, questo non può essere impedito. L’assolutezza negava dunque che potesse essere dato rilievo alla sola difficoltà di adempiere.

Tuttavia, sulla scorta di quell’orientamento che valorizza il canone della buona fede contrattuale ex art 1375 c.c. anche la grave difficoltà può comportare l’estinzione dell’obbligazione ove la situazione sopravvenuta, non prevedibile al momento del sorgere dell’obbligazione, sia tale da non poter essere superata con lo sforzo diligente cui il debitore è tenuto.

Al ricorrere di tali presupposti la prestazione dovrà essere considerata inesigibile, configurandosi la pretesa d’adempimento del creditore non inadempiente contraria ai canoni di correttezza e buona fede (Cfr. Cass. Civ. 22 aprile 2009, n. 9534).

Tra le cause invocabili ai fini della richiamata “impossibilità della prestazione”, sono altresì ricomprese le limitazioni ed i vincoli imposti dall’Autorità pubblica con quei provvedimenti, legislativi o amministrativi, che, dettati da interessi generali (c.d. “factum principis”), rendendo impossibile la prestazione indipendentemente dal contegno dell’obbligato, esonerando dunque il debitore da ogni responsabilità (cfr. ex multis Cass. Civ. 11 gennaio 1982, n. 119).

E’ bene evidenziare come non sempre l’impossibilità della prestazione determini la caducazione del contratto con la sua definitiva estinzione.

In certi casi è infatti previsto il ricorso a rimedi di tipo manutentivo in forza dei quali è possibile conservare il rapporto obbligatorio nonostante la sopravvenuta impossibilità.

Il comma 2 dell’art 1256 c.c. stabilisce infatti che “se l’impossibilità è solo temporanea il debitore, finché essa perdura, non è responsabile del ritardo nell’adempimento”.

In questi casi la legge attribuisce al debitore il diritto di sospendere l’esecuzione della prestazione senza che ciò possa comportare un suo inadempimento.

Fatta eccezione per il carattere della “temporaneità”, i requisiti dell’impossibilità richiamati dal comma 2 dell’art 1256 c.c. sono gli stessi previsti dal comma 1 della medesima norma e, pertanto, compatibili con la situazione di emergenza sanitaria legata alla diffusione del c.d. COVID 19.

Ulteriore rimedio alla sopravvenienza di eventi straordinari che condizionano l’equilibrio contrattuale è quello della rinegoziazione dei termini contrattuali secondo buona fede e correttezza.

Come ricordato, gli operatori commerciali sono soliti introdurre nei contratti le c.d. clausole di “Hardship” che consentono di ridefinire i termini contrattuali ove questi siano divenuti eccessivamente svantaggiosi per effetto di eventi sopravvenuti.

Tuttavia, anche in assenza di una clausola negoziale “ad hoc” che regoli tale evenienza, gli interpreti ritengono possibile addivenire alla rinegoziazione degli accordi inter partes anche in virtù del generale canone di buona fede, in questa sede più volte richiamato.

Il principio di solidarietà, in cui la stessa buona fede trova fondamento, consente alla parte che si trova in difficoltà per effetto del sopravvenuto evento eccezionale di pretendere la rinegoziazione del contratto al fine di adeguarlo alle circostanze sopravvenute.

La buona fede è infatti principio generale che impone a ciascuna parte, a prescindere dall’espressa regolamentazione convenzionale, di salvaguardare gli interessi dell’altra, consentendo di adeguare il regolamento contrattuale alla situazione di fatto nel frattempo venutasi a determinare.

In definitiva, l’obbligo di rinegoziare in presenza dei presupposti che lo rendono necessario, comporta il dovere di accogliere l’invito a rinegoziare e accettare le modifiche proposte o proporre soluzioni che, nel rispetto dell’economia del contratto e tenuto conto della propria convenienza economica, consentono di riequilibrare il sinallagma contrattuale (sul punto cfr V. Roppo, Il Contratto, 2005, pag. 1040).

Tali esigenze sono espresse anche a livello internazionale ed europeo ove sia i Principi Unidroit (Principles of International Commercial Contracts), che soprattutto i c.d. PECL (Principles of European Contract Law), oltre a prevedere l’obbligo delle parti di rinegoziare il contratto sperequato, prevedono espressamente anche il potere del giudice di condannare al risarcimento del danno la parte che rifiuti la rinegoziazione ovvero la conduca in maniera contraria alla buona fede e alla correttezza (cfr. Avv. Luciano Castelli, “L’emergenza sanitaria un evento imprevedibile che consente la rinegoziazione delle pattuizioni contrattuali”, www.lcalex.it).

Sotto tale aspetto anche l’ordinamento interno prevede che, laddove una delle parti rifiuti di rinegoziare il contratto conformemente ai canoni di correttezza e buona fede, la parte non inadempiente avrà facoltà di agire per la risoluzione del contratto per inadempimento, oltre che per il risarcimento del danno eventualmente patito nelle more.

Ad ogni modo, la complessità della materia non lascia spazio a risposte generali, non essendo possibile, a priori, stabilire se il c.d. COVID 19 e le misure adottate dalle autorità possano costituire valida causa di impossibilità o di sopravvenuta onerosità delle prestazioni contrattuali assunte dalle imprese.

Gli effetti del COVID 19 sui negozi in corso d’esecuzione dovranno essere oggetto di attenta ed accurata analisi che tenga conto delle peculiarità del caso concreto, anche in considerazione dell’incidenza di una pluralità di fattori quali, a mero titolo esemplificativo, (i) l’applicabilità della legge italiana alla fattispecie contrattuale, (ii) i fatti da cui è derivato il ritardo e/o l’inadempimento contrattuale, (iii) l’incidenza specifica degli stessi sulla prestazione, (iv) l’assenza di soluzioni alternative per l’adempimento ed infine (v) il contenuto del regolamento contrattuale.

Avv. Federico Sardegna

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