La decorrenza del termine dei venti giorni per la costituzione del convenuto

Come noto, l’art. 166 c.p.c. prevede che la costituzione del convenuto debba avvenire almeno venti giorni prima dell’udienza di comparizione indicata nell’atto di citazione ovvero dell’udienza differita a norma dell’art. 168 bis comma 5 c.p.c. (dieci giorni nel caso di termini abbreviati).

Il rispetto di tale termine è di fondamentale importanza, soprattutto alla luce delle preclusioni che ne discendono. La tardiva costituzione in giudizio del convenuto preclude infatti a quest’ultimo la possibilità di eccepire l’incompetenza del giudice adito (art. 38 c.p.c.) nonché, più in generale, tutte le eccezioni in senso stretto (non rilevabili d’ufficio), domande riconvenzionali e/o chiamate di terzi (art. 167 c.p.c.).

Nulla quaestio quando la data dell’udienza di prima comparizione, indicata dall’attore nel proprio atto introduttivo, venga successivamente confermata dal giudice assegnatario della causa.

La conferma della data d’udienza non fa sorgere alcun problema interpretativo nel calcolo a ritroso del termine dei venti giorni per la costituzione del convenuto.

Nella prassi, frequentemente accade che il giudice istruttore differisca la data dell’udienza indicata nell’atto di citazione.

In questi casi, il difensore del convenuto deve verificare se il rinvio d’udienza è stato disposto ai sensi dell’art. 168 bis comma 4 c.p.c. oppure ai sensi dell’art. 168 bis comma 5 c.p.c..

Si tratta di una differenza di non poco conto atteso che: (i) nel primo caso (comma 4), il rinvio d’udienza non farà slittare anche il termine di costituzione del convenuto che dovrà, conseguentemente, essere calcolato in base alla data d’udienza indicata nell’atto introduttivo; (ii) nel secondo caso (comma 5), il differimento d’udienza comporterà uno slittamento anche del termine per la costituzione del convenuto che dovrà, pertanto, essere calcolato a ritroso dalla data d’udienza così come differita dal giudice istruttore.

Una tale differenziazione rinviene la propria giustificazione nella diversa ratio sottesa alle due disposizioni da ultimo citate.

Il comma 4 dell’art. 168 bis c.p.c. prevede un differimento della data d’udienza sol perché il giorno indicato dall’attore non corrisponde al giorno in cui il giudice designato tiene udienza (vi è una diversa calendarizzazione delle udienze).

Il comma 5 dell’art. 168 bis c.p.c. prevede invece la facoltà per il giudice istruttore di disporre un rinvio d’udienza allo scopo di consentire una più efficiente organizzazione dei ruoli e per consentire a quest’ultimo di conoscere l’effettivo thema decidendum fin dal momento iniziale della trattazione della causa.

Solamente in questa seconda ipotesi, attesa la differente ratio, il legislatore ha ritenuto inutile costringere il convenuto a costituirsi in una data (quella indicata nell’atto di citazione) che potrebbe essere anche molto anteriore a quella in cui si terrà effettivamente l’udienza di prima comparizione.

Ciò premesso, nella prassi, sempre più frequentemente accade che l’attività giudiziaria subisca dei ritardi e dei rallentamenti di non poco conto.

Non di rado infatti accade che una causa venga assegnata alla sezione e al giudice competente molto tempo dopo la sua stessa iscrizione a ruolo con la conseguenza che il differimento d’udienza ai sensi dell’art. 168 bis comma 5 c.p.c. possa essere disposto anche dopo lo spirare della stessa data di udienza indicata dall’attore.

Cosa succede in questi casi? Cosa succede se il convenuto non si è tempestivamente costituito nei venti giorni prima dell’udienza indicati in atti e, solo successivamente, il giudice istruttore abbia disposto il differimento ai sensi dell’art. 168 bis comma 5 c.p.c.? In una siffatta situazione, il convenuto è da considerarsi ormai decaduto dal termine oppure può ancora costituirsi tempestivamente tenendo conto della data dell’udienza differita?

Sulla questione si è pronunciata la Corte di Cassazione con la recente sentenza n. 2394/2020.

Secondo la Corte di legittimità non può avere alcuna efficacia sanante il decreto di fissazione udienza che intervenga in modo sostanzialmente “abnorme” e, dunque, dopo che il termine di costituzione del convenuto sia già scaduto.

Secondo la prospettazione della Corte, opinare diversamente, contraddirebbe la stessa ratio sottesa all’art. 168 bis comma 5 c.p.c.; il differimento d’udienza non corrisponderebbe ad un provvedimento organizzativo volto a rendere più efficiente la trattazione della controversia ma, al contrario, rappresenterebbe una sostanziale rimessione in termini nei confronti di una parte a carico della quale sono già maturate significative decadenze ai sensi degli artt. 166 e 167 c.p.c..

Ipotizzare una tale rimessione, aggiunge la Corte, risulterebbe completamente arbitraria e altererebbe la posizione di parità delle parti nel processo, atteso che la stessa non sarebbe assoggettabile ad alcun controllo giurisdizionale.

A sostegno di tale assunto la Corte di Cassazione prospetta il caso in cui il differimento intervenga dopo che il convenuto si sia già costituito tardivamente: ammettere una rimessione in termini significherebbe consentire a quest’ultimo di depositare una nuova comparsa di costituzione, potendo svolgere attività processuali dalle quali era già decaduto o, addirittura, determinare una sorta di “convalida” di tali attività, quali la proposizione di domande riconvenzionali o di eccezioni in senso stretto o di chiamate in causa di terzi, già tardivamente, e quindi illegittimamente, svolte.

A fronte di siffatti rilievi la Corte di Cassazione ha pertanto enunciato il seguente principio di diritto “nel caso in cui il differimento della prima udienza di comparizione da parte del giudice istruttore, ai sensi dell’art. 168 bis, comma 5, c.p.c., intervenga dopo che sia già scaduto il termine di cui all’art. 166 c.p.c. per la costituzione del convenuto, il differimento stesso non determina la rimessione in termini del convenuto ai fini della sua tempestiva costituzione e, di conseguenza, restano ferme le decadenze già maturate a suo carico, ai sensi dell’art. 167 c.p.c.”.

Avv. Enrico Pattumelli

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